OMBRE E LUCI DAL PASSATO – Capitolo 7
Emma
Lunedì mattina, 6 gennaio, nevica. È tutto bloccato, con difficoltà sono riuscita ad arrivare al lavoro, anche se un po’ in ritardo. Ho guardato nel parcheggio, ed ho visto la BMW X6 di Alex.
Non sono andata a salutarlo, devo valutare bene la situazione ed agire per il meglio.
Voglio parlargli, voglio riuscire a sistemare le cose… Mi odio per quello che gli ho fatto.
Guardo l’orologio, sono le 10,30, ed ancora non ho fatto nulla, ho solo sbrigato alcune pratiche in sospeso. Decido di prendermi una pausa, andando a prendere un caffè.
Non appena entro in sala ristoro, riconosco la sua voce, ed anche se non lo vedo, sento subito un tuffo al cuore.
Mi dirigo verso la macchina del caffè, e purtroppo il tuffo al cuore diventa una dolorosa voragine.
È proprio lì, che sta chiacchierando con una ragazza dell’ufficio acquisti, penso si chiami… Deborah, forse. Ridono, scherzano, e vedo che lei gli posa una mano sull’avambraccio, muovendola leggermente, come se gli stesse facendo una carezza.
La voragine aumenta, sempre di più, quasi non riesco a respirare.
Entrambi, avvertono la mia presenza, e si voltano a guardarmi.
– Buongiorno, ragazzi – gli dico, cercando di non lasciare trapelare il mio disagio.
– Buongiorno dottoressa – mi dice lei.
– Ciao – mi dice Alex.
Mi giro verso la macchinetta, e seleziono il caffè. Aspetto, mentre loro stanno in silenzio.
“Ma quanto cazzo ci mette????” penso, irritata, non vedo l’ora di andarmene da lì.
Finalmente il mio caffè è pronto, prendo la tazza e mi volto un attimo, per salutarli.
Incrocio lo sguardo di Alex, è sconvolto. Anche lui sta male, e non poco…
– Ciao – gli dico – ci vediamo. Buongiorno.
– Buongiorno, dottoressa – mi saluta lei.
– Ciao, Emma – mi dice Alex, piano.
Mi giro e lascio la stanza, velocemente.
Entro nel mio ufficio, lasciando appositamente aperta la porta.
Alex deve per forza passare qui davanti, per tornare nel suo ufficio… almeno, non appena lo vedrò, passerò subito in azione.
Passano i minuti, bevo il mio caffè. Poi, improvvisamente, lo vedo passare velocemente, che guarda dritto davanti a sé. Fino a pochi giorni fa, ogni volta che passava di qui era sempre un’occasione buona per una battuta o per una gentilezza. Ora non mi ha nemmeno guardata.
Sento che entra nel suo ufficio, e chiude la porta. “Ok, Emma” mi dico “E’ il momento, alza il culo e vai da lui. E vedi di sistemare il casino che hai combinato!”.
Mi avvio velocemente da lui, e busso la porta, leggermente.
Silenzio. Busso di nuovo. Sa che sono io.
– Avanti – sento che risponde, scocciato.
Apro la porta e lo vedo, seduto al suo tavolo. Non appena ha la conferma che sono io, abbassa lo sguardo sulle sue scartoffie.
– Dimmi, Emma, hai bisogno di qualcosa? – mi chiede irritato.
– Ho bisogno che mi guardi, e mi ascolti. Devo parlarti. – gli dico, di getto, chiudendomi la porta alle spalle.
– Io non ho niente da dirti – mi dice, continuando a guardare sul suo tavolo.
Eh, no… Ora basta! Ora mi deve ascoltare!
– Beh, io sì! – gli dico, alzando la voce – E tu mi ascolterai, hai capito?
Lui alza lo sguardo, lentamente, ed inarca un sopracciglio. Poi fa un sorriso sarcastico, appoggiandosi allo schienale della poltrona, ed incrociando le braccia al petto.
– Avanti, Emma… – mi dice con voce tagliente – Sentiamo cos’hai da dirmi stavolta.
Accidenti, è proprio incazzato… Incazzato di brutto! Sarà dannatamente dura.
– Mi dispiace – gli dico.
Lui scoppia a ridere, in maniera sarcastica.
– Ma per favore! – esclama. Vado su tutte le furie.
– Sentimi bene, Alex Anderson! – gli grido contro – Ti ho chiesto di ascoltarmi, chiaro? E tu lo farai, ora! Mi ascolterai, lasciandomi finire di parlare. Poi, quando avrò finito, se vorrai, potrai piantarmi un calcio nel sedere e sbattermi fuori dal tuo ufficio.
Lui mi guarda, alzando un sopracciglio.
– Confesso che l’idea mi alletta parecchio – mi dice, serio. So che non scherza affatto – Ma, avanti, coraggio, Emma. Sono tutt’orecchi.
Avanzo verso di lui, avvicinandomi al suo tavolo. Lo guardo negli occhi.
– Mi dispiace, non sai quanto… – gli dico – Ho fatto una cazzata paurosa, ho ferito te ed i miei figli, le persone più importanti per me al mondo. Siete i miei punti di riferimento, i miei pilastri. Vi adoro, tutti e tre. Quando mi sono resa conto del male che vi avevo fatto, avrei voluto morire. Vedere la tua espressione, sabato mattina, e sentire tutte quelle parole dalla tua bocca, … È stato dilaniante, per me. Mai e poi mai avrei voluto ferirti e tradire la tua fiducia… Non so perché l’ho fatto. So solo che gli ultimi eventi mi hanno investito come un treno in corsa, ed io… non sono stata in grado di gestirli. Ed ho commesso errori su errori…
Lo guardo, sento che le lacrime iniziano di nuovo a pungermi gli occhi. Tiro un sospiro profondo e proseguo.
– Perdonami, ti prego… Ti prometto che non lo farò mai più. Mai più ti ferirò o tradirò la tua fiducia. Te lo giuro, Alex. Questi giorni, senza di te, sono stati terribili. Non riesco a vivere, senza di te, sei troppo importante… Sei il mio migliore amico, non voglio perderti. Scusami… Mi dispiace tanto…
Lui mi guarda, pensieroso, stringendo gli occhi.
– Lo vedrai ancora? – mi chiede – La verità, Emma… hai appena promesso.
– Non lo so – gli rispondo.
– Ma… – mi chiede, tentennando. È teso. – C’è… una… “relazione” tra voi due?
– No, non lo so – gli rispondo – Ci siamo visti qualche volta, è successo… quello che è successo… Ma… non ci siamo promessi nulla.
Lo guardo, ha lo sguardo gelido, la mascella contratta. Decido di andare fino in fondo.
– In realtà… – gli dico – c’è un problema.
– E sarebbe? – mi chiede, serio.
– È sposato – gli dico d’un fiato.
– COSA??? – mi dice lui, alzando la voce – Cazzo, Emma!!!
Guardo in terra, sconsolata.
– Ma come hai potuto fare una cosa del genere? – mi chiede.
– È che lui… ha un forte ascendente, su di me. Non sono riuscita… – gli dico, con voce rotta – Non sono riuscita a resistergli, come allora.
Alzo lo sguardo su di lui, mi sta osservando, ammutolito. Non riesco a capire se sia più arrabbiato con me o se sia più addolorato per quello che gli ho appena detto. Lo sto facendo soffrire, e non posso tollerarlo. Le lacrime iniziano a scendere, sulle mie guance.
– Oh, Emma… – mi dice lui, alzandosi dal suo tavolo e venendo verso di me. Mi prende tra le braccia, baciandomi i capelli. Scoppio a piangere, e lo stringo a me, forte, più forte che posso. Mi aggrappo a questo splendido uomo, a questa mia isola felice.
– Non piangere, ti prego… – mi dice, continuando ad accarezzarmi i capelli.
Mi trascina verso la sua poltrona, si siede e mi fa accomodare sulle sue ginocchia, abbracciandomi stretta.
– Smettila – mi sussurra – Ci sono qui io, con te. Andrà tutto bene, ora. Te lo prometto.
– Oh, Alex – gli dico, tra i singhiozzi – Grazie…
Rimaniamo così, per qualche minuto, senza parlare. Piano piano i miei singhiozzi cessano, e lentamente, mi calmo. Mi sollevo, allontanandomi dal suo abbraccio, per guardarlo in viso.
È sereno, finalmente. Mi sorride.
– Mi sei mancato… – gli dico – tanto.
– Anche tu – mi risponde lui, dandomi un bacio sulla guancia.
Mi sollevo dalle sue ginocchia, alzandomi in piedi.
– Sarà meglio che ritorni nel mio ufficio, ora… – gli dico.
– Sarà meglio che torni a lavorare, scansafatiche! – mi dice lui, dandomi una pacca sul sedere.
– Alex! – gli squittisco. Lo guardo, sta ridendo, sotto i baffi. È tornato.
Sentiamo bussare alla porta.
– Avanti – dice Alex. È Kate, tutta trafelata.
– Ah, Emma, sei qui! Finalmente! E cercavo anche te, Alex. – si volta verso il corridoio, chiamando qualcuno – Jack, sono qui, vieni!
– Che succede, Kate? – le chiedo.
– Succede che il grande capo vi chiama a colloquio urgente nel suo ufficio, subito. Tutti e tre.
Ci guardiamo, io, Alex e Jack. Direttore Amministrativo, Direttore Commerciale e Direttore delle Risorse Umane, a colloquio urgente dal Presidente? È successo qualcosa.
Ci dirigiamo tutti da Alan, il “grande capo”.
– Cosa sarà successo? – ci chiede Jack, preoccupato.
– Non ne ho la più pallida idea – dice Alex – speriamo solo siano buone notizie.
Entriamo, la porta è aperta.
– Eccovi qui, finalmente. Entrate, chiudete la porta, vi devo parlare.
Alex
Osservo Emma e Jack, nessuno di loro sa nulla, come me. Siamo tutti perplessi.
Ci sediamo sulle poltrone davanti alla sua enorme scrivania, in attesa.
– Allora, quello che sto per dirvi è estremamente confidenziale, non dovrà uscire nulla da quest’ufficio, per nessun motivo al mondo. Ho la vostra parola?
– Certo – rispondiamo tutti e tre, quasi all’unisono.
– Conoscete l’azienda Blue Diamonds Corporation?
– Una delle più grosse aziende di produzione di gioielli e diamanti a livello mondiale – gli dico io prontamente.
– Esattamente, Alex – mi risponde – Allora, hanno intenzione di dare una svolta commerciale alla loro società. Si sono sempre diretti verso una clientela di élite, hanno gioielli estremamente costosi ed unici al mondo, disegnati a mano. Vogliono, mantenendo comunque la loro qualità, iniziare a dirigersi verso una clientela più “commerciale”, con una linea di prodotti sempre puri ma più accessibili.
Sto cominciando a capire. Sono colto da una frenesia pazzesca, la mia mente inizia a girare vorticosamente. Sorrido, estasiato.
– Ecco, vedete, il nostro Alex ha già capito – dice, rivolgendosi ad Emma e Jack.
Loro mi guardano, perplessi.
– La bella notizia è che ci hanno contattato loro, chiedendo di elaborare una proposta pubblicitaria per la loro nuova campagna. Si tratta di uno spot televisivo e di pubblicità su riviste. La cattiva notizia è che oltre a noi, hanno contattato altre due aziende, nostre concorrenti. Sceglieranno la proposta migliore. Si parla di un contratto a sei zeri.
Emma spalanca la bocca, e Jack la segue a ruota. Io non sto più nella pelle, voglio andare di corsa nel mio ufficio ad elaborare nuove idee.
– È inutile che ve lo dica, ma lo faccio comunque. VOGLIO. QUESTO. CONTRATTO. Quindi, vi voglio concentrati al massimo per centrare questo obiettivo. Allora, tu, Jack, coordina il personale. Fai in modo che vengano seguiti al meglio gli altri contratti che abbiamo in corso, ma scegli i migliori elementi per lavorare su questo progetto. Voglio tutti concentrati ed operativi. Se servirà, faranno gli straordinari, sono autorizzati fin da subito.
– Ok, Alan, ci penso io – gli risponde Jack. Sa il fatto suo, è in gamba, so che darà il massimo.
– Tu, Emma, ti occuperai della stesura del contratto. Ed affiancherai Alex, gestendo i vari costi per la preparazione di tutta la documentazione che serve.
– Benissimo, Alan. – gli risponde Emma.
– Tu, Alex – mi dice, sorridendomi – preparerai il progetto. Ti voglio concentrato solo ed unicamente lì. Raccogli idee, da tutti, cerca spunti dove vuoi. Se hai dei contratti in corso, delegali a qualcuno, valuta con Jack le persone più adatte. Abbiamo un mese di tempo, la presentazione è prevista per venerdì 6 febbraio, a Los Angeles. È tanto tempo, ma non abusiamone.
– Ok, Alan – gli dico – Farò del mio meglio.
– Ah, altre due cose – ci dice – La prima è che domani, alle 9,00, ci sarà un’assemblea aziendale straordinaria, dove comunicherò a tutti i dipendenti la meravigliosa opportunità che ci è stata concessa. Fino ad allora, niente deve trapelare, mi raccomando. Tu, Alex, farai un discorso, dove dichiarerai come intendi procedere. L’altra cosa è che tu, Alex, e tu, Emma, andrete a Los Angeles a presentare il progetto. Voglio solo voi due. Partirete il giovedì e tornerete il sabato.
A quelle parole, mi scoppia il cuore. Io e lei… soli, a Los Angeles. Non sarebbe potuta andare meglio! Scoppio di felicità, forse, è arrivato il mio momento… avrò la mia opportunità.
Emma
Sento bussare alla porta e sorrido, lo riconoscerei tra mille. È qui, finalmente, il mio adorato Alex.
– Avanti – dico.
Apre la porta, infilando la testa nel mio ufficio. Mi guarda e sorride, splendidamente.
– Ciao! Allora, finito? – mi chiede.
– Sì, quasi – gli dico. Guardo l’orologio, sono le 19,00 – No, anzi. HO finito.
Si mette a ridere, aprendo del tutto la porta ed entrando.
– Dai, vieni, andiamo a bere qualcosa insieme, ho bisogno di rilassarmi.
– Anch’io… – gli dico. Speravo proprio di stare un po’ con lui.
Mi alzo, e prendo il cappotto, usciamo insieme dall’edificio.
Mentre ci avviamo a piedi, chiamo Paul.
– Pronto? – mi dice.
– Ciao, amore… Stasera esco con Alex, andiamo a bere qualcosa insieme. Visto l’orario, non aspettatemi a cena, credo che mangeremo qualcosa fuori… – guardo Alex, con sguardo interrogativo.
Lui annuisce, in silenzio.
– Ok, mamma… Sono contento che abbiate chiarito e che sia andato tutto bene…
– Anch’io sono contenta. Non sai quanto. – gli dico. Alex mi guarda, sorridendo. Ha intuito di cosa stiamo parlando, mi prende la mano e me la stringe.
– Bene, divertitevi, allora…
– Ok, a più tardi… Ciao – riattacco, ed infilo il telefono nella borsa. Ho un brivido.
– Freddo? – mi chiede.
– Un po’ – gli rispondo – per fortuna che almeno hanno ripulito le strade dalla neve, altrimenti…
Lui mi lascia la mano e mi cinge le spalle con un braccio, per scaldarmi. Sento il suo profumo, il suo calore… Quanto mi è mancato… Mi sento al sicuro, con lui.
Arriviamo in un pub, dove siamo già stati altre volte. Hanno ottima birra e buonissimi hot dog.
Decidiamo di fermarci lì, il locale non è molto affollato, la musica è piuttosto alta, ma non troppo. Vedo alcune persone che ballano, sul fondo del locale.
“Beh, cominciano presto, ad essere su di giri…” penso, sorridendo.
Ci sistemiamo ad un tavolo, ordiniamo due Estival e due hot dog.
Alex si toglie la giacca, si allenta la cravatta e si arrotola le maniche della camicia.
Ci portano subito le birre, fresche, buonissime. Alex ne beve un lungo sorso, poi chiude gli occhi e fa un sospiro lungo. Li riapre, e mi guarda intensamente. Mi sento sciogliere.
Poi, mi sorride, luminoso, ed inizia a muovere la testa, a tempo con la musica.
Scoppio a ridere, di gusto, e lui mi segue, ridendo. Eccolo qui, il mio Alex… sereno, rilassato.
Sono felice, beviamo birra, con ottima musica in sottofondo, e ridiamo, mangiando hot dog.
Abbiamo ritrovato la nostra complicità, la nostra intesa.
Sembra che tutto quello che è successo in questi giorni non sia mai avvenuto.
Poi, cambiano la musica, e sento le note di “Corazon espinado” di Carlos Santana.
Vedo Alex che si alza in piedi, e, platealmente, mi porge la mano.
– Balli? – mi chiede.
– Ma certo – gli rispondo, alzandomi in piedi anch’io.
Andiamo verso la piccola pista, lui mi prende la mano e con l’altra mi cinge la vita. Sorride, iniziando a muoversi, a tempo di musica, facendomi volteggiare, e roteare.
Non penso più a nulla, quando sono con lui… Sa farmi ridere, sa farmi divertire, davvero.
Lo seguo nel ballo, e mi lascio coinvolgere dalla sua euforia. Solo quando termina la musica, mi abbraccia forte, stringendomi.
– Grazie per il ballo – mi dice – è stato fantastico.
– Grazie a te – gli dico – Sei un ballerino favoloso.
– Merito anche della mia partner – mi dice, strizzandomi l’occhio. Mi prende sottobraccio e torniamo al tavolo, dalle nostre birre.
Più tardi, torniamo a piedi alla NY Advertisement a prendere le nostre auto nel parcheggio privato.
Ci salutiamo velocemente, domani sarà una giornata intensa.
Guido con calma, ad un certo punto vedo una BMW Z3 che mi sorpassa. Gli somiglia, ma non è la sua. Michael… mi viene in mente solo ora, sono due giorni che non si fa sentire.
Ma questa sera, era proprio l’ultimo dei miei pensieri.
continua…
Copyright Samy P. ©
Questo racconto è di proprietà di Samy P., è protetto da copyright e ogni riproduzione dell’opera, parziale o integrale, è vietata. È vietata la redistribuzione e la pubblicazione dei contenuti, in qualsiasi forma, non autorizzata espressamente dall’autrice. Tutti i diritti sono riservati ©. L. 633/1941. Questo racconto è un’opera di fantasia di Samy P. Ogni riferimento a persone reali esistenti o esistite, fatti, luoghi o avvenimenti è del tutto casuale ed è frutto dell’immaginazione dell’autrice che ne ha fatto uso al solo scopo di dare maggiore veridicità alla storia.