OMBRE E LUCI DAL PASSATO – Capitolo 1

Emma

“Accidenti, sono in terribile ritardo!”

Entro con la mia Trax nera nel parcheggio del ristorante, e, per fortuna, trovo subito un posto. Spengo la macchina, scendo velocemente e mi dirigo con passo deciso verso il locale, nonostante le mie Jimmy Choo con tacco dodici.

– Buonasera, signora, il suo nome, prego? – mi chiede una ragazza all’ingresso, di fronte ad un alto tavolino in legno.

– Emma Taylor, mi aspettano alla cena aziendale della NY Advertisement.

– Oh, dottoressa Taylor, la stavamo aspettando, ora possiamo iniziare il servizio – mi dice facendo un cenno con la testa ad un cameriere – Venga, l’accompagno. Vuole darmi il cappotto?

– Sì, grazie – le rispondo, mentre me lo sfilo e glielo porgo – le chiedo anche di prepararmi la fattura, finita la cena, prima di andare a casa verrò io a saldare il conto.

– Ma certo, non c’è problema, dottoressa – mi risponde.

Entriamo nel salone, c’è una gran quantità di persone. La ragazza mi indica il tavolo che è stato riservato per noi, vedo subito la mia segretaria, Kate, che mi fa cenno di sedermi vicino a lei.

– Emma, ce l’hai fatta, finalmente! – mi dice Kate – Spero non sia stata colpa mia, ti avevo preparato i vestiti e le scarpe nel solito posto, nel tuo ufficio, li hai trovati?

– Sì, Kate, era tutto in ordine, non preoccuparti. È solo che dovevo assolutamente finire alcuni conteggi per lunedì, e mi sono attardata… – le dico sedendomi accanto a lei.

Arriva un cameriere, mi porge subito un aperitivo, che gli altri hanno già gustato. Lo assaggio subito, è delizioso, leggermente alcolico e fruttato.

– Beh, il nostro direttore commerciale “supersexy”, non c’è, stasera? – mi chiede Kate, sconsolata – oggi è andato via dall’ufficio prima di mezzogiorno, poi non l’ho più visto…

– Sì, Alex non si sentiva bene, oggi – le rispondo – l’ho chiamato dalla macchina prima di venire qui, ha la febbre a 39.8… È uno straccio.

– Oh, povero… Se ha bisogno di qualcosa, magari ci penso io – mi dice Kate, strizzandomi l’occhio.

Scoppio a ridere. Alex, il mio migliore amico… ha fatto strage di cuori, in ufficio, ma da quando Elena l’ha lasciato e se n’è andata dalla NY Advertisement lui non vuole più saperne, delle colleghe,

con grande delusione di buona parte del personale femminile…

Improvvisamente, ho una brutta sensazione, che interrompe i miei pensieri. Mi sento osservata.

Con la coda dell’occhio noto che in un tavolo, dall’altra parte della sala, un uomo non mi toglie gli occhi di dosso.

Provo ad ignorarlo, ma è inutile, lui tiene lo sguardo puntato su di me, studiando ogni mio movimento, è irritante. “Ma che vuole, questo?” mi domando.

Alzo gli occhi, con un’espressione interrogativa, ed incrocio quelli di lui che mi fissano profondamente. Mi sento gelare, distolgo subito lo sguardo.

“No… non può essere lui! Ma che diavolo ci fa, qui?” penso allarmata.

Sollevo nuovamente lo sguardo, per averne la conferma. Noto il suo sorriso ironico sul viso, e di nuovo, quegli occhi inconfondibili, che riconosco immediatamente.

Sono di un blu intenso, che solo lui ha… sono identici a quelli di un’altra persona…mio figlio Paul.

Sento che sto per svenire.

“Non è possibile… Michael, qui, dopo 26 anni. Non riesco a crederci…” inizio a respirare affannosamente… “Devo uscire subito da questa stanza o rischio un attacco di panico!”

– Scusami – dico a Kate – vado un attimo alla toilette.

– Ti senti bene, Emma? – mi chiede Kate preoccupata – Sembra quasi che tu abbia visto un fantasma…

“Altro che fantasma, questo qui è vivo e vegeto!” penso, sudando freddo.

– Beh, piuttosto un’ombra… – le rispondo – Ma non preoccuparti, non è nulla.

Mi alzo velocemente e raggiungo la toilette. Apro una finestra, e respiro a pieni polmoni l’aria fredda di dicembre, riuscendo a calmarmi.

“Merda… ma che cavolo è venuto a fare, qui, da Miami?” penso “E merda di nuovo, Emma! Possibile che dopo tanti anni e dopo tutto quello che ti ha fatto ti sconvolga così tanto rivederlo? Sei una maledetta stupida…”

Mi prendo il viso tra le mani, scuotendo la testa. Anche se l’ho osservato per un attimo ho visto perfettamente che è ancora dannatamente bello, e sensuale…

Mi aveva stregata allora, a 19 anni, e potrebbe farlo di nuovo, se solo lo volesse, lo so.

Mi avvicino al lavandino, mi bagno i polsi e le tempie.

“Devo riacquistare il controllo di me stessa” penso, guardandomi allo specchio.

Faccio un respiro profondo ed esco dalla toilette, e lui è lì, di fronte a me, appoggiato al muro con le mani in tasca, bello da morire. Mi manca il respiro, di nuovo.

– Ma guarda chi si vede… Quasi non credevo ai miei occhi! Emma… – mi dice, con un sorriso languido – Come stai?

“Stavo meglio prima, stronzo!” penso, ma non posso certo fare una scenata qui, al ristorante.

– Sto bene, grazie, e tu? – gli chiedo, rimanendo impassibile.

– Bene – mi risponde lui – quanti anni sono passati? Venticinque?

– Ventisei, per la precisione – gli rispondo, secca.

– Sei ancora più bella di come ricordavo… – mi dice sorridendomi in modo sensuale – se mai lo avessi creduto possibile…

– Senti, vorrei tanto stare qui a chiacchierare con te dei vecchi tempi, ma… sono ad una cena di lavoro. – gli dico acida, tagliando subito il discorso – Devo andare.

– Ma certo – mi dice lui – Lavori alla NY Advertisement? Dai commenti che ho sentito quando sei arrivata hai anche una buona posizione…

– Sono direttore amministrativo – gli rispondo – Ed ora, se vuoi scusarmi…

– Certo, certo… Torna pure dai tuoi colleghi – mi dice avvicinandosi a me – Volevo solo approfittarne per farti gli auguri di Buon Natale, anche se con qualche giorno di anticipo.

Velocemente, si avvicina e mi dà un bacio sulla guancia.

Il tocco delle labbra di lui sulla mia pelle ha lo stesso effetto di un tizzone incandescente. Lo sento arrivare fino al basso ventre, insieme al suo profumo.

Lui si stacca, guardandomi a lungo negli occhi, poi fa un sorriso languido. Sa benissimo di avermi fatto effetto.

– Buon Natale, piccola. – gira sui tacchi e torna al suo tavolo, lasciandomi lì, inebetita.

“Emma, sei una povera stupida…” penso rimproverandomi “Ma possibile??? Cosa sei, ancora una ragazzina? La stessa ragazzina di 19 anni che si è fatta abbindolare da uno più grande di lei, che l’ha sedotta, abbandonata e lasciata pure incinta? Stupida, stupida, stupida…”

Cerco di darmi un contegno, e torno al tavolo. Per tutta la serata, sento il suo sguardo addosso.

Poi, vedo che si alza, insieme ai tre uomini che erano con lui al tavolo, mi sorride, facendomi un cenno con la mano, e si avvia verso l’uscita del locale.

Lo osservo, che si muove in maniera fluida in mezzo ai tavoli ed alle persone, per farsi spazio.

Quasi tutti gli sguardi femminili lo seguono, è decisamente affascinante, forse più di allora.

Ha ancora i capelli castani, con riflessi rosso ramato, da perfetto irlandese, e quegli occhi, di un blu profondo, che mi avevano stregata. E quella bocca, sensuale, quel sorriso fantastico, ironico, a volte perverso. E tutto quello che mi faceva, con quella bocca…

“Oddio, Emma, che accidenti vai a pensare…” dico a me stessa, sospirando “Smettila, tanto, probabilmente, è stato solo un caso, e non lo rivedrai più, per fortuna”.

Michael

Esco dal ristorante, e mi godo l’aria fredda di dicembre, è quello che mi ci vuole.

Quando l’ho vista, prima, per poco non mi viene un infarto. È dannatamente bella, forse ancora più di allora. Ora ha i capelli corti, quel taglio mette ancora più in risalto il suo bellissimo viso e quegli occhi neri, da cerbiatta. E la bocca… Cazzo, quello che mi faceva, con quella bocca… Quelle labbra piene, carnose… Quanto le ho baciate, morse…

La sua reazione, quando mi ha visto… mi ha provocato un piacere viscerale, carnale.

Quando è uscita dal bagno, per poco non la spingo nuovamente dentro e le faccio tutto quello che non le ho fatto in tutti questi anni…

– Ehi, Michael, tutto a posto? – mi chiede Jack, mio cognato.

– Sì, tutto a posto, grazie – gli rispondo – Bello, questo locale, vero?

– Bellissimo – mi dice – quando verrà a trovarci Julie ce la porteremo, vero?

– Assolutamente sì – gli rispondo.

Già, Julie, mia moglie.

È vero, sono sposato… Purtroppo, devo ammettere che me lo dimentico spesso, ultimamente, specialmente stasera.

Emma… Ho intenzione di rivederla, prima di quanto lei creda.

Devo solo trovare il modo di liberarmi di questi scocciatori.

Emma

È quasi mezzanotte, tutti ci alziamo e ci dirigiamo verso l’uscita del locale. Io mi fermo alla cassa, per saldare il conto, con la carta di credito aziendale, e, quando ho terminato e mi guardo intorno, mi accorgo che gli altri se ne sono già andati tutti.

“Beh, grazie tante, ragazzi!” penso.

Scuoto la testa, mi infilo il cappotto ed esco all’aria gelida. È il 20 dicembre, speravo tanto che nevicasse, per Natale, ma sembra che non succederà. Mi avvio lentamente alla macchina.

– Oh, Emma, meno male che sei ancora qui – dice una voce alle mie spalle, facendomi sobbalzare.

Mi volto, e vedo Michael, lì, davanti a me.

– I miei compagni mi hanno lasciato qui, ma io sono senza macchina… – mi dice, con un sorriso ironico, alzando le spalle – non è che tu potresti darmi un passaggio in hotel?

– Chiama un taxi – gli rispondo secca.

– L’ho già fatto, ma sembra che non ce ne sia uno libero in tutta New York…

– Bugiardo… – gli dico, guardandolo e stringendo gli occhi – Meriteresti che ti lasciassi qui.

Lui mi sorride, e mi si avvicina lentamente.

– Lo so – mi sussurra – Ma ti sarei estremamente grato se mi portassi a casa… Oltretutto il mio hotel è qui vicino… Alloggio al The Mark, nell’Upper East Side.

– Sì, so dov’è – gli dico sospirando – È vicino a casa mia… Dai, sali.

– Abiti lì vicino? – mi chiede Michael, salendo in macchina.

– Sì – gli rispondo, avvio l’auto e parto velocemente.

Accendo lo stereo, ed incredibilmente alla radio stanno trasmettendo “You’re so vain” di Carly Simon. Mai canzone è risultata più adatta… Mi scappa quasi un sorriso.

– Allora, che ci fai qui a New York? Non abiti più a Miami? – gli chiedo.

– No, abito ancora a Miami, sono qui per lavoro. Ho ancora l’impresa di costruzioni, abbiamo avviato un cantiere due mesi fa, starò qui fino alla fine di marzo.

Allungo l’occhio, e gli vedo la fede. Stronzo, è sposato e flirta con me… non cambia mai.

– Ti sei sposato? – gli chiedo.

– Sì… – mi risponde – ma lei è rimasta a Miami. Vedo che anche tu ti sei sposata…

– Sì. – gli rispondo secca.

– E lui dov’è? – mi chiede.

Tentenno un attimo, non mi va tanto di dirgli i fatti miei.

– Allora? – mi chiede di nuovo.

– È morto – rispondo seria – tre anni fa.

– Oh, cavolo… scusami, mi dispiace – mi dice, sembra veramente mortificato.

– Non preoccuparti… non potevi saperlo – gli dico mestamente.

– Hai dei figli? – mi chiede.

“Ecco la domanda tanto temuta. Cosa gli dico? Per esempio, che ne ho due e che uno è suo? … ma per l’amor del cielo…” penso.

– Sì, ne ho due – gli rispondo.

– E quanti anni hanno? – mi chiede.

– Sono grandi. E tu, non hai figli? – gli chiedo, sperando di sviare il discorso.

– Oh, no, certo che no! – mi dice ridendo – Non fa per me…

“Ecco, appunto” penso.

Eccoci arrivati davanti al suo hotel, accosto per farlo scendere.

– Buonanotte, Michael… È stato un piacere – lo saluto freddamente.

– Sì, certo… – mi dice lui, con tono ironico, scuotendo la testa. Apre la portiera, ma la richiude subito dopo, e si gira a guardarmi, avvicinandosi pericolosamente.

– La tua bocca… – mi dice con voce roca – non l’ho mai dimenticata, sai?

Mi mette una mano dietro la nuca, attirandomi a sé, e posa le labbra sulle mie.

Cerco di resistere, divincolandomi. Ma lui, con forza, mi attira ancora di più a sé, e preme ancora di più le labbra sulle mie. Cerco di resistere, ancora… poi, il mio corpo, cede.

Schiudo le labbra, lui infila la lingua nella mia bocca e mi bacia profondamente, avidamente.

Sono completamente nelle sue mani, arrendevole…

Per tanti anni ho sognato di rivederlo, ho sofferto… ed ora lui è qui, che mi bacia…

Rispondo al suo bacio, appassionatamente, non posso fare altro.

Mi sbottona il cappotto ed infila una mano sotto, per accarezzarmi un seno. Anche attraverso la stoffa, i miei capezzoli si rivelano, turgidi, nelle sue mani. Lui inizia a pizzicarli, facendomi gemere.

Poi, infila una mano tra le mie cosce, sollevandomi la gonna corta del vestito.

“No no no… Ferma, Emma!!!” grida il mio autocontrollo “NO!”

Mi scosto da lui, allontanandolo, e bloccandogli la mano in mezzo alle mie gambe.

– No, ti prego, Michael… fermati… – gli dico con voce roca.

Lui mi prende il viso tra le mani, guardandomi con occhi torbidi di desiderio.

– Perché? – mi chiede – Lo desidero da quando ti ho vista stasera… So che lo vuoi anche tu.

È inutile mentire a me stessa, so che ha ragione.

– Sì… – gli dico – ma non così, non ora e soprattutto non qui…

Lui mi sorride, trionfante, e mi bacia delicatamente sulle labbra.

– Senti, domani io torno a casa, per le feste. Sarò di ritorno il 2 gennaio, pensi che potremo vederci?

“Se gli dico di sì…” penso “Sarò completamente nelle sue mani.”

– Allora? – mi chiede lui, risoluto.

– Sì, va bene… – gli rispondo, cedendo definitivamente.

– Bene, allora a presto, piccola. – mi dice.

Mi bacia di nuovo, profondamente, ed esce dall’auto, avviandosi verso l’ingresso dell’hotel.

Lo osservo, mentre si allontana. “Mio Dio… cosa ho fatto?” mi domando, angosciata.

continua…

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Questo racconto è di proprietà di Samy P., è protetto da copyright e ogni riproduzione dell’opera, parziale o integrale, è vietata. È vietata la redistribuzione e la pubblicazione dei contenuti, in qualsiasi forma, non autorizzata espressamente dall’autrice. Tutti i diritti sono riservati ©. L. 633/1941. Questo racconto è un’opera di fantasia di Samy P. Ogni riferimento a persone reali esistenti o esistite, fatti, luoghi o avvenimenti è del tutto casuale ed è frutto dell’immaginazione dell’autrice che ne ha fatto uso al solo scopo di dare maggiore veridicità alla storia.

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