UN NATALE IN BIANCO – Seconda parte
di Renée e Samy P.
Diego
Elena allunga un braccio e mi prende per il gomito, costringendomi ad avvicinarmi.
Gli occhi di Stella mi stanno incenerendo, si vede lontano un miglio che è incazzata nera. Cerco di sdrammatizzare, ma ho l’impressione che sarà inutile.
«È un vero piacere conoscerti.» Drizzo le spalle, le faccio un sorriso innocente e le porgo la mano, come se non fosse mai accaduto nulla. «Elena mi ha parlato tanto di te. È davvero entusiasta del tuo lavoro.»
Lei stringe gli occhi, mi prende la mano e me la stringe con forza. «Ma davvero?» Il suo è quasi un sibilo, tra i denti. «Vorrei poter dire la stessa cosa di te. Sapevo che aveva un fratello, ma non mi ha mai detto come si chiamava.»
«Beh, nemmeno io sapevo come ti chiamavi tu. Avremo modo di conoscerci meglio, allora.» Serro le labbra e le faccio un sorriso sornione, cercando di sdrammatizzare, ma lei sfila subito la mano dalla mia e si allontana di un passo.
«Potresti scusarmi, Elena?» Si volta verso di lei, con un sorriso. «Dovrei fare una telefonata.»
«Ma certo, non preoccuparti. Vai pure.» Mia sorella le sorride e prende me sottobraccio, facendo l’atto di allontanarsi. «Ci vediamo dopo, intanto noi salutiamo un po’ di invitati.»
Stella le fa un cenno di approvazione con la testa, poi ci volta le spalle e si avvia verso l’uscita della sala, a passo spedito. È furente, e si vede.
Cazzo, no.
Mi divincolo dal braccio di Elena, le poso una mano sulla spalla e le do un bacio su una guancia.
«Sorellina, ti dispiace se mi allontano un attimo?» Le sorrido, rassicurante «Torno subito.»
«Certo, tranquillo.» Fa una piccola smorfia. «Ma non metterci troppo, è una serata importante e vorrei che tu stessi al nostro fianco.»
«Lo farò, stai tranquilla.» Le sorrido e mi allontano subito, dirigendomi in tutta fretta verso l’uscita della sala.
Quando varco la soglia mi guardo intorno con impazienza, sperando di notarla. Ma qui gli uomini sono tutti in smoking nero e le donne tutte in bianco, è quasi impossibile riconoscerla. Mi passo una mano nervoso tra i capelli, poi sollevo lo sguardo e incontro gli occhi di Marco che mi fissano truci.
«Che succede?» Lo guardo con aria interrogativa, non intuendo cosa possa essere accaduto.
«Che succede lo chiedo io a te.» Si mette le mani in tasca, piega appena la testa di lato. «Ho appena incontrato una certa signorina milanese che scendeva le scale inviperita. Mi ha mandato a quel paese, io e quello stronzo del mio amico.»
Serro le mascelle, non sapendo che replicare. «Marco…»
«Non serve che mi spieghi.» Lui mi fa un sorriso teso. «Ho notato la sua reazione quando siamo scesi dal taxi, ho visto il tuo e il suo sguardo.»
«Mi dispiace, io…»
«Non devi dispiacerti.» Lui scuote la testa, con uno sguardo ironico. «Sono stato io a rovinarmi con le mie stesse mani, ieri sera, ma non credo che sarebbe comunque andata in un modo diverso.»
Aggrotto le sopracciglia, pensieroso. Forse nutriva davvero delle speranze per loro due e io senza pensarci sono andato via con lei e siamo pure finiti a letto insieme.
«E comunque credo di dover essere io più dispiaciuto per te, vista l’espressione che aveva quando l’ho incontrata.» Sfila una mano dalle tasche e mi dà una sonora pacca sulla spalla. «Hai una bella gatta da pelare, amico.» Mi fa un cenno con la testa verso le scale, indicandomi la sua direzione.
Senza replicare mi precipito giù di corsa e quando esco fuori finalmente la vedo di fronte a me, che passeggia avanti e indietro sui suoi tacchi altissimi e si stringe nelle spalle, infreddolita.
Senza pensarci mi sfilo la giacca e la raggiungo, cercando di coprirle le spalle. Ma lei mi allontana con uno spintone, facendomi quasi perdere l’equilibrio.
«Pezzo di stronzo che non sei altro!» Si volta verso di me, furente. «Ti sei divertito abbastanza?»
«Aspetta, non è come pensi, davvero…» cerco di giustificarmi, ma ho ben poco da dire in mia discolpa.
Lei si volta verso di me di scatto, spalancando gli occhi. «Scusa, come hai detto? Non è come pensi?» Si avvicina al mio viso, fermandosi con il suo a pochi centimetri. «No perché ricordo ancora le tue parole di poco fa, quando mi hai detto: Elena mi ha parlato tanto di te. È davvero entusiasta del tuo lavoro.»
Scuoto la testa, sentendomi un coglione. Sono stato uno stupido a non dirglielo quando lei ha fatto il nome di mia sorella, è stato in quel momento che ho realizzato. Ma eravamo brilli, io la desideravo e non ce l’ho fatta. E ora quella stupidaggine si sta ritorcendo contro di me.
«Sapevi fin dall’inizio chi ero e ti sei preso gioco di me!» Incrocia le braccia al petto, stringendosi le spalle. La vedo tremare di freddo, mentre mi guarda con rabbia. «Sei un bastardo, Diego.»
D’istinto prendo di nuovo la giacca, cerco di sistemargliela sulle spalle. «Copriti, ti prego…»
Con un gesto secco lei me la sfila dalle mani e la getta a terra con forza, davanti agli occhi dei passanti che ci fissano incuriositi. La raccolgo subito cercando di pulirla più che posso, ma si è bagnata in modo irrimediabile. «Certo che questo potevi evitarlo, ostia.»
«Anche tu.» Mi oltrepassa e se ne va, rientrando dentro l’hotel.
Impreco sottovoce, mentre cerco di pulire la stoffa nera come posso, per fortuna è solo bagnata e non si è sporcata troppo. Me la infilo e l’acqua gelida a contatto con la pelle mi provoca un brivido lungo il corpo. Stringo i denti e torno dentro, quando arrivo in cima alle scale incrocio lo sguardo di Marco, che mi fissa divertito.
«Ho appena incrociato la tua tosa, credo proprio che non sia andata bene, vero?» sorride sadico.
«Lascia perdere.» Entriamo insieme nel salone e raggiungiamo mia sorella che con il suo futuro marito sta parlando proprio con Stella. Ci avviciniamo a loro, la guardo in viso e lei sta sorridendo distesa, come se non fosse successo nulla. Ma mi ignora in maniera palese.
«Finalmente ti conosco, Stefano.» Il mio futuro cognato e lei si stringono la mano, lui le sorride di rimando. «Elena mi ha spiegato che sei spesso lontano da Milano per lavoro e sono davvero felice di poterti incontrare almeno prima del matrimonio.»
«Anch’io, ed è un vero piacere conoscerti. Elena mi ha parlato tanto di te, è entusiasta del tuo lavoro.» Lui si congratula, ripetendo per caso le stesse parole che le avevo detto io poco prima. Trattengo a stento una risata.
Stella si irrigidisce appena, poi sorride. So che l’ha notato anche lei. «Bene, penso che possiamo accomodarci a tavola, non credete?» Si guarda intorno, il maître di sala le fa un cenno con la testa, in segno di approvazione. Ha tutta la situazione sotto controllo e si vede.
Ci sistemiamo ai nostri posti e io mi siedo di fianco a mia sorella, per puro caso mi trovo di fronte a Stella. Le sorrido, mentre si accomoda davanti a me e continua a evitarmi con lo sguardo.
Le pietanze si susseguono, gusto ogni portata che lei ha scelto con cura, devo ammettere che è una gran donna e sa fare il suo lavoro alla perfezione. Ogni sapore è abbinato in maniera perfetta, ogni vino regala profumi che si sposano con i cibi.
Sono sempre più ammirato.
Vorrei poterle spiegare, vorrei chiarire la situazione. Non voglio che le cose finiscano in questo modo, non voglio non poterla toccare più. Devo far qualcosa, e prima possibile.
Cerco di infilarmi nei loro discorsi, ma la freddezza con cui lei risponde ai miei commenti e alle mie battute mi lascia ben poche speranze e se non mi faccio venire qualche idea credo che avrò poche possibilità di riscattarmi.
Mentre cerco di escogitare un piano la serata scivola via e senza che io me ne accorga se ne stanno già andando tutti. Lei saluta mia sorella e il suo ragazzo, mormora un ciao veloce a me e se ne va ai piani alti, per chiarire gli ultimi dettagli del banchetto di nozze di domani.
Usciamo dall’hotel e rimango lì solo, riflettendo sul da farsi. Con un dito mi slaccio il cravattino e il colletto della camicia. Mi stringo il giaccone al petto e mi incammino nella notte di Venezia, tra le calli strette e umide.
C’è solo un posto dove voglio andare questa sera e si trova in Campo Santa Margherita, Dorsoduro, 3224. Con lentezza ci arrivo e una volta giunto lì mi seggo sul gradino davanti al portone, preparandomi ad attenderla lì anche tutta la notte, se necessario.
Perché voglio spiegarle e lei dovrà ascoltarmi. E questo credo sia l’unico modo.
Dopo diverse ore la vedo arrivare a passo deciso, avvolta nel suo cappotto rosso e sicura sui suoi tacchi vertiginosi, che le slanciano quelle gambe perfette.
Alza lo sguardo e quando mi nota si ferma un attimo, per poi riprendere a camminare spedita. Mi alzo in piedi, mi infilo le mani in tasca e la osservo, in attesa.
Appena arriva al portone non mi guarda nemmeno in viso.
«Spostati e lasciami entrare, Diego. Poi vattene via.»
Stella
Non posso crederci.
Giuro di non essere mai stata presa per i fondelli come in questa occasione.
La sensazione di essere stata raggirata si fa strada dentro me.
Ma in che diavolo di situazione mi sono andata a cacciare?
Afferro la lacrima che sta per rigare il mio volto, non ne verserò neanche una per lui.
È la sera della vigilia di Natale, mi ritrovo da sola, in una città sconosciuta e, anche se mi costa ammetterlo, inizio davvero a sentir la mancanza di casa.
Per un momento ripenso alle parole di mia sorella.
“Spero che le tue bugie ti si ritorcano contro un giorno o l’altro. Ti auguro di lavorare davvero a Natale!”
Proprio una stronza di prima categoria. Ecco cosa sono.
Sistemo il colletto del mio cappotto, in cerca di un po’ di calore, mentre avanzo a passo spedito verso il loft, domani a quest’ora sarà tutto finito.
Dopodiché, lascerò questa città e tutto tornerà come prima.
Svolto l’angolo, ancora qualche falcata e potrò sfilarmi questo odioso vestito di dosso, ma non faccio in tempo a terminare la frase nella mia mente che vedo Diego: è di fronte a me, con le mani in tasca e lo sguardo di chi sa di averla fatta grossa.
«Spostati e lasciami entrare, Diego. Poi vattene via.»
«Non posso.»
Mi volto di scatto. «Come, scusa?»
«Devi ascoltarmi, Stella.»
«Io non ti devo proprio niente.»
La sua mano è posata sulla mia, come a volermi supplicare di dargli una chance.
Toccando appena i miei fianchi mi invita ad aprire il portone, nel frattempo, a passo svelto, tento di raggiungere le scale, ma prima di rendermene conto mi ritrovo con le spalle al muro.
Le sue braccia sono tese, i palmi delle mani posati sulla parete gelida e la sua bocca davvero troppo vicina alla mia.
«Stella…» Il suo respiro si fa più corto ed affannato. «Posso spiegarti ogni cosa…» La sua voce è una melodia che vorrei sentire all’infinito.
«Sei un bugiardo…»
Rivolgo il mio sguardo altrove. La sua presa è ferma, decisa. Non intende mollare.
«Stella… Stella…»
Passa la sua mano sul profilo del mio volto. Assaporo quella carezza e per quanto mi costi, in quel frangente i miei occhi incrociano i suoi.
«Voglio toglierti questo vestito. Anche se è un eufemismo chiamarlo così.»
Le sue mani sfiorano la pelle nuda, lasciata scoperta dall’evidente scollatura sulla schiena, ma il ricordo di come se n’è sgattaiolato da casa mia, riaffiora prepotente.
«Devi andartene, Diego. Adesso.» Il mio tono non ammette repliche, anche se so che sto commettendo un enorme sbaglio.
Lo voglio. Inutile negarlo, ma non posso lasciarlo entrare di nuovo nel mio letto.
Si scosta appena, tramortito da ciò che gli ho appena detto. Decido così di lasciarlo da solo, proprio come lui ha fatto con me.
Con una calma che di certo non mi appartiene tolgo le scarpe, le afferro alle estremità e inizio a salire i gradini a due a due. Arrivo di fronte la porta, con la coda dell’occhio provo a vedere se è salito anche lui, ma non vedo granché dalla posizione in cui mi trovo.
Apro la porta, entro e la richiudo subito, decisa a lasciarmi tutto questo alle spalle, ma il piede di Diego me lo impedisce.
«Devo spiegarti cosa è realmente accaduto e tu dovrai ascoltarmi.»
«Che bella faccia tosta hai avuto questa sera di fronte a tua sorella! Dimmi, quando l’hai capito esattamente? Per quanto tempo mi hai presa in giro?»
Il tono che gli servo è gelido, anche se non sono riuscita a nascondere quella punta di amarezza che – ahimè – provo.
«Io non prendo in giro nessuno, Stella. Intanto che rientravamo a casa ti è sfuggito il nome di mia sorella…» sta vuotando il sacco, finalmente. «Avrei voluto dirti che ero io il testimone, credimi, ma avevi bevuto qualche drink ed eri così spontanea e affascinante che non volevo rovinare il momento. Ti desideravo troppo e lo ammetto, sono stato egoista, ma lo rifarei altre mille volte per poter passare un’altra fottuta notte con te.» Fa una pausa, mentre il suo piede resta ben ancorato all’uscio della mia porta. «Sono andato via stamattina perché sapevo che ti avrei rivista stasera e non ho fatto altro che pensarti, dannazione! Ti ho aspettata alla postazione dei taxi, e poi ti ho vista scendere insieme a Marco, e ho visto anche quel fottuto bacio che gli hai dato!»
Resto basita di fronte alle sue parole.
Sono sconvolta.
«Sei geloso?»
All’improvviso di fronte a quella dichiarazione, la rabbia mi abbandona.
«Neanche immagini quanto…» Ha gli occhi spalancati e il respiro affannato. «Adesso, se me lo permetti, vorrei vedere quel bell’abitino succinto lontano dal tuo corpo…» La sua allusione segna la mia resa. Lascio andare la porta permettendogli di entrare, in attesa di perdermi tra le sue braccia.
Mi afferra per la nuca, baciandomi avidamente le labbra, le sue mani scorrono lungo tutto il corpo, toccando e accarezzando ogni parte di me. Con un calcio richiude il pesante uscio di legno alle sue spalle.
Getta uno sguardo al corridoio, prima di indicarmi la via. Lo assecondo, ormai mi ha presa tra le sue possenti braccia e lascio che mi porti ovunque voglia andare.
«Ti dona il bianco. Dovresti metterlo più spesso.» Mi posa a terra, scostando da un lato i capelli e iniziando a baciare ogni centimetro di pelle.
Lo guardo, di fronte a noi lo specchio della cabina armadio riflette i nostri corpi.
«Io odio il bianco. Non mi vedrai mai più con questo colore addosso.» Trattengo un ghigno divertito, so che non sopporta essere contraddetto.
Lo vedo sorridere, mentre preme la sua erezione proprio dietro di me.
«E ti pareva…»
Con un gesto brusco fa saltare i piccoli bottoni, facendomi sussultare.
«Vorrà dire che farai un’eccezione. Solo per me, chiaramente.»
Quest’uomo mi farà impazzire, anzi, lo sta già facendo.
Passo le mani sulla sua camicia, i muscoli si irrigidiscono immediatamente sotto il mio tocco e l’istinto ha la meglio: comincio ad armeggiare con i bottoni, voglio sentire la sua pelle a contatto con la mia, come l’altra notte.
Arrivo alla cintura e senza tante cerimonie, tolgo tutto.
Ho fantasticato tutto il giorno su di noi e ora che è qui accanto a me, tutto sembra avere senso.
Al diavolo il buonsenso. Io lo voglio.
Mi afferra per la natiche, posandomi poi sul letto king size: inizia a baciarmi lentamente, nella bocca ha il sapore dello Champagne, addosso invece, i nostri profumi mischiati.
Lascio che mi spogli, bramando ogni suo gesto, quando ormai giungo al limite gli concedo di posizionarsi in mezzo alle mie cosce. Sento pulsare il desiderio, la sua erezione è sempre più vicina mentre il calore si propaga in mezzo alle gambe.
«Ti voglio. Adesso.»
Lo sto supplicando.
Per l’amor del cielo, Stella. Un po’ di contegno.
«Sono qui per te, tesoro.» Le sue labbra si posano sul mio seno, stuzzicando e leccando a turno i capezzoli.
Mi sfugge un gemito, sono al limite della sopportazione, ma lui continua il suo inarrestabile attacco. Delicatamente, infila le dita, lì dove ormai non credevo le avrei più sentite, e con un’attenzione reverenziale massaggia e accarezza la pelle umida e calda.
Sto per cedere, le gambe tremano, mentre Diego alterna i movimenti delle dita e della bocca sui seni per tenermi lì, sul filo del rasoio. In attesa dell’orgasmo.
I suoi occhi sono puntati nei miei. Difficile capire cosa si celi dietro, ma il sorriso che mi rivolge è il più sexy che io abbia mai visto.
«Come vorrei che tutto questo non finisse.» Le parole escono dalle mie labbra senza che io me ne renda conto, ma è la verità.
Per un momento il pensiero di dirgli addio mi strazia l’anima.
«Potrebbe essere l’inizio. Se solo tu lo volessi.»
Diego
Quando apro gli occhi mi rendo conto che è ancora presto: il chiarore che filtra dalle finestre è molto debole, il giorno non è ancora iniziato.
Sbatto le palpebre più volte per abituarmi alla sensazione della luce, anche se fioca. Mi guardo intorno e mi volto subito di lato, incontrando una nuvola di capelli biondi proprio di fianco a me.
Sorrido soddisfatto.
Cazzo, che notte.
Mi alzo su un gomito e la guardo dormire, ammirando il suo bellissimo volto rilassato. Le ciglia sbattono appena, il suo respiro regolare mi scalda il cuore.
Sollevo un po’ la trapunta e contemplo il suo corpo nudo accanto al mio, la sua pelle morbida accarezzata dalle lenzuola candide. La scosto di lato, a causa della temperatura nella stanza piuttosto bassa i suoi capezzoli si inturgidiscono all’istante e mentre li osservo mi lecco le labbra.
Ripenso a tutti i momenti trascorsi insieme, alla passione che ci ha travolti.
Scivolo con una mano tra le sue cosce, la solletico leggero in mezzo alle sue gambe. La mia carezza diventa sempre più profonda, la sua carne umida si apre a me in tutta la sua bellezza. Lei schiude gli occhi, azzurri come due laghi di montagna, e mi guarda languida. La sento andare incontro alla mia mano, mentre le labbra le si piegano in un dolce sorriso.
«Buongiorno.» La sua voce roca risveglia il mio corpo, le apro le gambe con entrambe le mani e mi sistemo sopra di lei infilandomi tra le sue cosce.
«Buongiorno, Stella.» Le sorrido, mentre con la mano guido il mio membro eretto verso di lei.
Lei si aggrappa alle mie spalle, serra le labbra e mi guarda con un’intensità spaventosa. Mentre la penetro con lentezza mi perdo nei suoi occhi, nelle sue labbra, nell’odore della sua pelle.
La sento fare un gemito roco, che si confonde con il mio.
Ed è in quell’istante che comprendo di aver perso la testa.
E costi quello che costi, non voglio perdere lei.
Diverse ore più tardi mi aggiro nella Sala Ducale dell’Hotel Danieli, in cerca della mia donna.
L’ho vista di sfuggita poco fa, mentre controllava la mise en place e mentre si assicurava che ogni fiore e ogni lembo di stoffa fosse perfetto.
Ha fatto un gran lavoro, qui… mia sorella è al settimo cielo.
Ma io inizio a essere impaziente.
La vedo entrare a passo spedito nella sala, si ferma a parlare con il maître e subito dopo con lo sposo. È concentrata, ma la sua espressione è distesa. È chiaro che sta filando tutto liscio.
Ottimo. Ora tocca a me.
Mi avvicino a lei deciso, con un sorriso lascivo. Mi accorgo che mi nota, guardandomi di sottecchi, poi si immerge di nuovo in una fitta conversazione con mio cognato. Non appena le sono accanto allungo una mano e la prendo per un gomito con dolcezza.
«Complimenti, Stella. Tutto impeccabile.» La guardo, in attesa di una sua risposta. Voglio immergermi nei suoi occhi, mi mancano da impazzire.
Ma lei attende qualche secondo prima di voltarsi verso di me e quando lo fa la sua espressione è seria. «Grazie di cuore, Diego.» Annuisce, poi riprende a parlare con Stefano.
Serro le labbra e aggrotto le sopracciglia, mio cognato se ne accorge. Mi fa un sorriso divertito e con una scusa si congeda da lei, anche se gli stava illustrando le portate che si sarebbero succedute e gli appuntamenti con i fotografi.
Lo guardo allontanarsi, mentre ancora le mie dita avvolgono il braccio di Stella.
Si divincola, fa un profondo sospiro e poi mi guarda con un’espressione fredda. «Ti prego, Diego. Sto lavorando, non posso permettermi nessuna distrazione, questo incarico è molto importante per me e voglio essere certa che fili tutto liscio.»
Colpito da tanto distacco lascio subito il suo gomito e la guardo mentre mi fa un lieve cenno con la testa, senza replicare. «Scusami, ma devo andare.» Mi volta le spalle e lascia la stanza, avviandosi in corridoio.
Col cavolo, bellezza.
A grandi falcate la raggiungo e una volta che è alla mia portata mi guardo intorno, certo di non essere visto. La prendo per la vita e apro una porta di fianco a noi, si tratta di una stanza per ricevimenti vuota.
«Diego, che diavolo fai?» Si volta verso di me, indispettita. «Ti prego, lasciami andare, devo…»
«Ti chiedo solo pochi minuti, d’accordo?» Chiudo la porta alle mie spalle, mi ci appoggio contro per non permettere a nessuno di entrare. «Vieni qui.»
Lei sospira, rassegnata. Avanza verso di me e non appena mi è abbastanza vicina la prendo e la attiro a me, non lasciandole possibilità di sfuggire alla mia presa salda.
«Che vuoi fare?» Il suo respiro è corto, la mia vicinanza la sconvolge e se voglio ottenere qualcosa devo far leva su questo. La stringo ancora di più al mio torace, le aggiusto una ciocca dorata sfuggita all’acconciatura.
«Solo respirarti un po’, non temere.» Le sorrido. «Non voglio rovinare questo bellissimo abito. Ti sta d’incanto.»
Lei fa una smorfia. «Peccato che sia bianco.»
La guardo a lungo, studiandola. La stoffa morbida le fascia il corpo in modo perfetto, la scollatura non troppo profonda le esalta i bellissimi seni e il bordo della gonna che le arriva appena sopra il ginocchio le dona quel tocco di sensualità che risveglia subito il mio corpo.
Avvicino le labbra alle sue, per catturarle in un bacio profondo.
Le sue mani mi premono sul petto, per tenermi lontano.
«Diego, no.» Scuote la testa, seria.
Stringo gli occhi infastidito. «Perché no?»
«Ho davvero poco tempo a disposizione, non posso permettermi distrazioni, oggi.» Serra le labbra, facendo una piccola smorfia.
«Ah, quindi io ora sarei una distrazione?» Piego la testa di lato, osservandola incuriosito. «Ieri sera e questa mattina non la pensavi così.»
I suoi occhi brillano, so che ripensa a quanto è accaduto fra noi nelle ultime ore. «Ti prego, io…»
«Promettimi che ci rivedremo stasera, per favore.» Non riesco a trattenermi. Il pensiero di non stringerla più fra le braccia mi fa impazzire.
«Non lo so, Diego…» Abbassa lo sguardo, imbarazzata. Quando i suoi occhi incontrano di nuovo i miei sono mortificati. «La giornata che mi aspetta è davvero intensa, non so a che ora finirà tutto questo. Non mi sento di prometterti nulla.»
Ah, ma davvero?
Le faccio un sorriso ironico. «Ti aspetterò. Non mi importa quanto.»
«No, Diego.» Scuote la testa, allontanandosi da me. «È un momento importante per la mia carriera, è una commissione che conta molto per me. Non posso pensare ad altro, devo rimanere concentrata su ogni minimo dettaglio. Non posso permettermi di sbagliare.»
«Non voglio farti sbagliare.» Aggrotto le sopracciglia. «Voglio solo che tu mi prometta che alla fine di questa estenuante serata passeremo un po’ di tempo insieme. Tutto qui.»
Lei serra le labbra. Mi allontana con una spinta decisa sul mio torace, si sistema l’abito e si aggiusta l’acconciatura. Alza il mento e mi guarda, seria. «Non posso. Scusami.»
Mi mette una mano sulla spalla e mi spinge di lato, per spostarmi.
Non oppongo resistenza, le lascio aprire la porta e uscire dalla stanza, il rumore della porta che si richiude alle sue spalle risuona nel salone vuoto.
Sorrido compiaciuto.
Ho molte carte da giocare durante questa serata, la signorina Stella Casiraghi cambierà idea in fretta, ne sono certo.
Perché io sarò il suo tormento.
Stella
Ripenso a poco fa, a quando Diego è uscito di casa. La chiamata della sposa, ovvero sua sorella, lo ha costretto ad alzarsi prima di quanto volesse, ma soprattutto, prima di quanto volessi io. Che situazione surreale.
Mi trovo a Venezia da qualche giorno e ho come l’impressione sia trascorso molto più tempo.
Diego mi sta entrando sottopelle e questo, giuro, non lo avevo previsto. Ero certa avrei passato una fantastica notte di sesso e niente di più, ma adesso, quando lo vedo, inizio a sentire le farfalle nello stomaco.
Il mio pensiero, per un momento, si posa su Roberto. Dopo di lui, nessuno è riuscito a far battere il mio cuore. Nessuno, tranne Diego.
Volto lo sguardo. Oggi non c’è tempo per pensare ai dilemmi personali e cosa ancora più importante, devo stare alla larga da Diego, sarà bene cominciare a porre qualche limite, altrimenti sarà ancora più difficile dirgli addio.
Al solo pensiero una sensazione di vuoto si propaga, lasciandomi addosso una profonda tristezza, ma d’altronde è così che deve andare. Le nostre strade sono destinate a dividersi.
Mi faccio coraggio e ripongo in un angolino della mente i pensieri che ho per lui.
Questa è la giornata che segnerà la mia carriera. Non sono ammessi errori, né distrazioni.
Mi lascio cullare dalle onde, la città è deserta, a farmi compagnia c’è solo il verso dei gabbiani. Non credevo avrei apprezzato tutto questo. Andarsene sarà una delle cose più difficili da fare.
Mancano ancora pochi minuti all’attracco di Piazza San Marco, decido di mandare un messaggio a mia sorella e di farle sapere quanto lei e i bambini mi manchino.
Afferro il telefono, dimenticato nel fondo della borsa, sblocco lo schermo e con grande gioia leggo il suo nome tra le varie notifiche.
“Buon Natale sorellina. Fai vedere di che pasta sei fatta. Noi ti aspettiamo, ci manchi tantissimo. Un bacio. Steffi.”
Il cuore si riempie di gioia. Era quello che mi serviva per poter affrontare questa giornata.
Una volta giunta all’ingresso trovo due ragazzi della security ad aspettarmi, esibisco il pass e proseguo varcando la soglia del maestoso atrio.
Tutto è preparato nei minimi particolari.
Camerieri elegantissimi nelle loro divise.
Tableau degli invitati ben esposto.
Banco dei confetti e fontana di cioccolato bianco posizionata ad hoc.
Ramoscelli di vischio appesi ad ogni porta.
Tappeto rosso lungo tutto il percorso.
Fiori e candele bianche ad accogliere i nostri ospiti.
Ed infine lui, l’imponente abete che troneggia al centro della sala dove si terrà il ricevimento.
È un tripudio di luci e l’atmosfera natalizia che regna è la cornice perfetta per queste nozze.
Mi guardo attorno, pienamente soddisfatta del mio lavoro, quando mi accorgo di lui.
Eccolo lì il mio Diego. Meraviglioso nel suo abito.
Credo mi stia cercando, lo capisco da come si aggira furtivo tra i tavoli. Con una certa rapidità abbasso gli occhi, mi ha vista e so che non tarderà ad arrivare, provo perciò a raccogliere tutte le forze che possiedo per tenere alta la guardia.
Domani me ne andrò, continuare a giocare può solo nuocere.
Mi sfiora appena il gomito, provocando un brivido lungo tutto il corpo, dalla sua bocca escono quelli che mi appaiono come dei complimenti, ma sono concentrata su quelle labbra che questa mattina hanno solcato ogni centimetro della mia pelle.
La risposta garbata che gli riservo non sembra soddisfarlo, negli occhi ha una luce maliziosa, come quella della scorsa notte, ma continuo imperterrita a conversare con lo sposo.
Devo seguire il copione se voglio allontanarlo da me.
Con un gesto gentile mi invita a seguirlo, mio malgrado, non avendo nessuno con cui interloquire, mi ritrovo di fronte a quegli occhi bramosi, che in questo momento bramano me.
«Diego, che diavolo fai?»
La sua risposta fa accelerare i battiti del mio cuore.
«Solo respirarti un po’, non temere.»
È così buono il suo odore, ripenso a cosa si nasconde sotto quella camicia e improvvisamente la voglia di mandare al diavolo tutto, per un momento, mi sfiora.
«Ti prego, io…» Devo trovare un modo per mettere un po’ di distanza tra noi e l’unico è quello di allontanarlo.
Poso le mani sul suo petto, facendo una piccola pressione, provo a spiegargli che non sono ammesse distrazioni in questo giorno, ma soprattutto, che non posso mantenere promesse. È il mio momento.
Sono certa che dopo questo rifiuto, se ne andrà prima di quanto io creda.
Mi rivolge un sorriso, sghignazzando.
«Ti aspetterò. Non mi importa quanto.»
Io non credo. Non credo proprio, Diego.
Lo allontano, tentando di ricompormi.
Trova la forza di andartene, Stella. Trovala per l’amor del cielo.
Alzo il mento, rimetto al suo posto la ciocca sfuggita dallo chignon e mi volto.
Quando la porta alle mie spalle finalmente è chiusa, posso smetterla di fingere, concedendomi un lungo respiro. So bene che mi mancherà il mio Diego.
Lascio che la tristezza scivoli via, per quanto sia difficile, oggi è un giorno di festa e io sono qui per rendere speciale e unica questa giornata. Ricorda, nessuna distrazione.
Elena si avvicina a me, gettandomi le braccia al collo.
«Hai fatto un lavoro strepitoso, Stella.» La guardo soddisfatta, era quello che volevamo entrambe.
Accolgo con gioia il suo abbraccio, assaporando questi ultimi istanti in casa Furlan, è comunque la sorella di Diego, una parte importante della sua vita e sono onorata di averne fatto parte.
«Brilli di una luce meravigliosa, mia cara.» Le mie parole sono sincere, vederla accanto a suo marito, trionfante e raggiante è quello che più desideravo. E non solo per la mia carriera.
Un po’ più distante, appoggiato a una porta, Diego mi sta osservando.
È serio, tiene ben stretto tra le mani il calice di Champagne e non distoglie lo sguardo nemmeno per un secondo.
Gli rivolgo un’occhiata furtiva e questo basta a farmi sentire ancora di più i suoi occhi addosso, per quanto io continui ad intrattenermi con le centinaia di persone che dividono con noi questa sala, lui è lì che mi fissa, in attesa di un mio cenno.
Mi dirigo in cucina, in cerca del maître, voglio accertarmi che la Wedding Cake sia perfetta, e con l’occasione godermi un po’ di refrigerio nella cella frigorifera: mi donerà un po’ di sollievo da questo tormento.
Oltrepasso l’atrio, facendo cenno al caposala di rimpiazzare le bottiglie di Champagne vuote, infastidita, alzo gli occhi al cielo per manifestare il mio disappunto, è un errore grossolano e inaccettabile.
La regola numero uno è: i bicchieri degli ospiti non devono mai essere vuoti.
Proseguo verso la cucina, evitando la porta principale, preferisco lasciare libero il passaggio ai camerieri, imbocco così il piccolo corridoio adiacente, ritrovandomi di fronte ad una porta.
Afferro il pass, ma non faccio in tempo a inserire la chiave elettronica, perché Diego è di fronte a me. I suoi occhi si posano prima sul mio corpo e dopo sul vischio posto sopra di noi.
«La tradizione vuole che sotto il vischio ci si baci…» La fossetta che si forma ai lati della sua bocca quando sorride mi fa capitolare.
Lascio che si avvicini appena più del dovuto.
«Puoi usare tutte le scorciatoie che vuoi. Io ti troverò comunque, Stella.» Aggiunge vittorioso.
Il tono che mi riserva è pacato, i suoi occhi brillano.
Si passa la lingua tra le labbra e un momento dopo, le posa sulle mie.
Le sue braccia mi avvolgono, possenti, mentre a dispetto di tutte le mie congetture, schiudo le labbra.
Diego uno, Stella zero.
Mi abbandono a lui, provando a incamerare tutti i suoi baci. Ne voglio portare via con me il più possibile.
«Allora ci vediamo dopo?»
Rido di sottecchi, presa da un momento di leggerezza. Sembriamo due ragazzini.
«Devo prenderlo come un sì?» Il suo alito solletica il mio collo, i suoi baci sono come un sollievo al mio martirio.
«Forse.» Le parole escono contro la mia volontà.
Sospira soddisfatto. «È già qualcosa.» Mi bacia un’ultima volta, avvicinandosi quanto basta per sentire la sua erezione premere sulla leggera stoffa del mio abito. «Bene, ora ti lascio lavorare, ‘more. A dopo.»
La mia mente si sofferma sulla parola amore.
Passo le dita sulle labbra, sono ancora sensibili al tatto. Sensibili a lui.
Mi rendo conto di essere nei guai.
Guai seri, aggiungerei.
Diego
Sorrido soddisfatto, mentre diverse ore dopo conduco Stella nel mio appartamento.
A tentoni riesco ad aprire e richiudere subito la porta, mentre le mie mani la accarezzano dappertutto.
«Sei splendida con questo abito. Starei a guardarti per ore, davvero.» Armeggio con i bottoni, cercando di sfilarglielo subito. «Ma credimi, in questo momento l’unica cosa che voglio è sfilartelo.»
La ammiro estasiato ridere, mentre piega la testa all’indietro.
La giornata è stata lunga ed estenuante, soprattutto per lei. Ci sono stati momenti in cui ho visto un’ombra attraversarle lo sguardo, come se fosse all’improvviso velato di tristezza. Ho tremato, perché so che sta pensando al fatto che tra poco tutto questo finirà. Lei tornerà alla sua vita e io alla mia, ma ci ho riflettuto tutto il giorno e sono giunto a una conclusione.
Io non voglio perderla.
Ed è mia intenzione, questa notte, fare di tutto per convincerla a proseguire tutto questo.
Dobbiamo avere una possibilità, per forza. Quello che ci sta capitando è troppo raro, troppo unico. Non può svanire in una bolla di sapone come tutte le altre stupide e inutili storie che ho avuto.
In piedi in fondo al mio letto ci spogliamo bramosi di incontrarci di nuovo, le nostre labbra si cercano, i nostri respiri si fondono. Le mie mani la stringono, le sue stringono me.
Per ora, solo questo conta.
Diverse ore dopo le sto accarezzando i capelli con dolcezza, mentre lei è con la testa appoggiata nell’incavo del mio collo. Osservo la stanza, illuminata dalle luci notturne che filtrano dalle finestre.
So che tra poche ore sarà mattina e il momento tanto temuto si sta avvicinando.
«Sai, forse dovremmo parlare di noi.» Non appena pronuncio la frase la sento irrigidirsi, al mio fianco. «So che ci conosciamo da poco, ma quello che è accaduto in questi giorni per me ha significato tanto. Non sono abituato a questo genere di relazioni libere, se ho fatto l’amore con te è perché mi hai colpito… nel profondo, Stella.»
La sento sollevare la testa con lentezza, si volta a guardarmi. Ha le labbra serrate, un’espressione dura sul viso. «Scusa, come hai detto? Relazioni libere?»
«Sì, io…»
«Che stronzo, che sei.» Con uno scatto fulmineo si alza in piedi, raccoglie in giro per la stanza i suoi vestiti.
«Ehi, che fai?» Mi alzo anch’io, le corro dietro completamente nudo, mentre lei si infila slip e reggiseno. «Non volevo insinuare nulla, Stella… ti prego, fermati un attimo, parliamo.»
«Lascia perdere, Diego.» Cammina veloce, spostandomi di lato. «Non c’è nulla da dire e lo sai.»
«Non è vero.» La prendo per un polso, bloccandola e costringendole a girarsi verso di me. «Non volevo insinuare nulla, chiaro? E tu lo sai bene. Sai cosa intendevo, con le mie parole… io voglio vederti di nuovo, non voglio che tu esca da quella porta e sparisca per sempre dalla mia vita.»
Lei alza il mento, drizza le spalle. «Be’, è quello che accadrà. Perché invece io sono proprio una da relazioni libere, sai?» Sfila il polso dalla mia mano e si volta di nuovo, chinandosi a raccogliere il suo vestito sul pavimento.
«Non è vero.» La guardo serio, la mia voce bassa fende l’aria. «Dici così perché hai paura.»
Si blocca all’istante. Passano alcuni istanti durante i quali resta immobile, poi inizia a infilarsi il vestito con una calma agghiacciante, ignorando le mie parole.
«Hai sentito che ho detto?» Mi avvicino a lei. «Hai paura, Stella. Dì la verità.»
Si volta, mi guarda con gli occhi appena socchiusi. «Non ho paura. Non sai quello che dici, Diego. Tu non mi conosci davvero e ti sei fatto un’idea davvero sbagliata di me.»
Si allontana in cerca delle sue scarpe, che so per certo essere davanti all’ingresso. Mi chino in fretta a cercare i miei boxer tra le lenzuola, li trovo e me li infilo subito, poi con un paio di falcate la raggiungo.
La osservo infilare i suoi piedi affusolati dentro quelle magnifiche scarpe, poco adatte alla vita qui. Di colpo mi viene un’idea, ma non so come la prenderà. Ma devo tentare, voglio giocarmi il tutto per tutto.
«Potresti almeno pensarci su, non credi?» Mi schiarisco la voce, in attesa di una sua reazione. «Prenderti un po’ di tempo, riflettere su come sarebbe. Credo che al lavoro non ti faranno storie.»
Si volta verso di me, inarca un sopracciglio. «Cosa intendi?»
«Potresti prenderti un periodo di aspettativa, valutare… venire qui a stare con me per un po’. Vedila come una vacanza, una pausa di riflessione dalla tua vita di Milano.»
Con lentezza drizza la schiena e incrocia le braccia al petto, guardandomi seria. «E cosa ti fa pensare che io voglia farlo?»
«Io faccio il gondoliere, Stella. Nella mia famiglia lo siamo da generazioni e ti assicuro che è un mestiere che porta molti guadagni. Posso permettermi con comodo di mantenere entrambi, potresti venire qui e valutare la vita con me. Fare una prova.»
Lei sbotta in una risata sarcastica. «E perché non dovresti essere tu, a farlo?»
«Io… per me è molto difficile lasciare Venezia.» Scuoto la testa, questo è un argomento che chi non abita qui non riesce a comprendere, ma devo provarci. «Siamo molto ancorati al nostro stile di vita, a come tutto scorre qui. È difficile pensare di trasferirsi sulla terra ferma, so che non puoi comprendere, ma…»
«No, non ti comprendo.» Scuote la testa, con un’espressione delusa. «Ma non per il tuo stile di vita, che per l’amor del cielo, piace a te… contento tu, contenti tutti. Ma io non riuscirei mai a vivere qui, Diego. Io amo Milano, amo il mio lavoro. Amo i locali che frequento, le serate con le mie amiche, i miei Cosmopolitan e le mie scarpe, che qui non riuscirei più a indossare. E francamente sono delusa dal fatto che tu pensi che io potrei solo valutare di rinunciare a tutto questo.»
«La mia era solo un’idea.» Serro le labbra, comprendo il messaggio che mi sta lanciando. Non c’è nessun futuro per noi due e lei lo sapeva fin dall’inizio.
«Un’idea che non sarà mai realizzata e tu lo sai.» Prende il cappotto, se lo infila seria e poi mi guarda in viso, a lungo. Di nuovo, quell’ombra di tristezza attraversa i suoi occhi e mi provoca un tuffo al cuore.
Sto per perderla.
«Ti prego, non andartene così. Lascia almeno che ti accompagni, è ancora notte fonda.» Allungo una mano, per sfiorarle il viso. Ma lei si scosta, lasciandomi sospeso a mezz’aria.
«No, Diego. È meglio così, davvero.» Mi fa un sorriso tirato. «È stato bello, ci siamo divertiti. Siamo due persone adulte e consapevoli e abbiamo passato alcuni giorni donandoci emozioni a vicenda, non c’è nient’altro. Mi auguro che nessuno ne esca ferito.»
Sorrido ironico.
Io ne esco ferito, eccome.
La prendo per un polso e la attiro a me, la stringo forte al mio torace. Inspiro a pieni polmoni il suo profumo misto al mio, prova della notte di passione trascorsa insieme. Mi aggrappo a lei avido stringendole i fianchi, le spalle, tutto il corpo. Le prendo il volto con entrambe le mani e la costringo a guardarmi. Abbasso il viso e prendo possesso della sua bocca, la divoro in un bacio che non voglio dimentichi mai. Mi risponde, mentre le mie mani riprendono il loro viaggio su di lei, catturandole i seni, i fianchi. Il sesso. Lo stringo disperato, come per tentare di trattenerla, ma dopo troppo poco tempo la sento irrigidirsi e staccarsi da me.
Abbassa lo sguardo, afferra la borsetta che aveva lasciato sul tavolino dell’ingresso e si gira ad aprire la porta, senza più guardarmi.
Mi arriva solo la sua voce lieve e flebile. «Addio, Diego.»
Apre la porta e se ne va dalla mia vita, richiudendola alle sue spalle.
Fisso il pesante legno scuro che ho davanti, non sapendo che fare. Mi metto le mani nei capelli, poi d’istinto e senza che io possa controllarla la mia mano si abbatte su di lui, con un botto tremendo.
«Cazzo!»
Stella
«Un brindisi alla nostra Stella!»
I calici tintinnano, mentre le voci familiari dei miei colleghi risuonano allegramente. Sorrido, grata dell’affetto che mi dimostrano.
Dunque è così che ci si sente quando si torna a casa.
Allora perché mi sento spezzata a metà?
«Un lavoro degno della professionista che sei.» Una voce fuori dal coro zittisce lo studio.
Stupita mi volto, il direttore dell’agenzia è di fronte a tutti noi, con le mani in tasca e un sorriso raggiante. Gli sorrido, era il momento che stavo aspettano da tanto tempo, ma il cuore non batte come dovrebbe.
«La ringrazio per la fiducia che mi ha riservato e per i suoi elogi. Ne sono davvero onorata.»
Gli porgo la mano in segno di cordialità, ho gli occhi di tutto l’ufficio puntati addosso.
«La Famiglia Furlan è rimasta più che soddisfatta dal tuo lavoro e nel telegramma, inviatomi questa mattina, menziona chiaramente il tuo nome ringraziandoti per l’estrema professionalità.»
Per me, è come ricevere uno schiaffo in pieno volto.
Mi è costato caro andarmene senza salutare Elena e Stefano e ancor di più lasciare Diego, in quella maniera brutale, nel suo appartamento. Ripenso a quel momento.
Ma ho dovuto farlo. Il mio cuore altrimenti non avrebbe retto il peso di un addio struggente.
«Credo sia giunto il momento di parlare della tua carriera, Stella.» Si avvicina, versando nel mio flûte un altro po’ di Champagne.
Matilde sta esultando, mi strizza l’occhio complice e senza perdere tempo, invita tutti a uscire e a tornare al proprio lavoro.
«In bocca al lupo mia cara…» Mi sussurra poi di sfuggita, prima di lasciarmi da sola nel mio ufficio con il grande capo.
«Vorrei proporti un avanzamento di carriera, un vero e proprio salto di qualità, che renderebbe la nostra agenzia la migliore sul mercato attuale.» Le parole del direttore mi lusingano, ma il mio pensiero continua a posarsi su Diego e sulla sua amata Venezia.
Non sono concentrata.
Sto riflettendo se chiamare Elena per ringraziarla del feedback decisamente positivo, o se lasciare che le cose finiscano qui.
L’hai lasciato. Te ne sei andata senza mostrare il minimo dubbio. Ora ritorna alla tua vita.
È qui che devi rimanere.
«…come socia avresti diritto a vantaggiosi benefit…» Il direttore sta continuando a parlare, ma io non sto seguendo un accidente del discorso che sta facendo. «Ehi, Stella? Ci sei?»
No, non ci sono.
«Allora cosa vuoi oltre al benefit, l’auto aziendale e un ufficio più spazioso?»
Voglio Diego. Il sapore dei suoi baci è svanito.
«I soci di maggioranza si riuniscono fra qualche giorno, esattamente il trenta dicembre, per eleggere il nuovo presidente. Sarebbe l’occasione giusta per presentarti al direttivo.»
Lo osservo, mi sta offrendo quello che ho sempre desiderato.
Dovrei essere felice.
Devo essere felice.
Ripenso alle parole di Diego, all’ assurda proposta che mi ha fatto sull’onda di un momento felice e alla sua strampalata idea di mantenermi.
All’improvviso la rabbia ha la meglio.
Non ho alcuna intenzione di lasciare il mio lavoro per trasferirmi in mezzo all’umidità e all’odore salmastro della Laguna.
«A che ora si riunisce il direttivo?»
Il mio capo sorride entusiasta.
«Hai fatto la scelta giusta, Stella.» Mi porge la mano, come a voler stringere il nostro patto. «Ci vediamo il trenta dicembre alle undici.»
Guardo la porta del mio ufficio chiudersi. Ora che sono rimasta sola, il silenzio è assordante.
Mi alzo, lisciando con le mani le pieghe del vestito grigio antracite che indosso. Fuori, la vita milanese scorre inesorabile e caotica.
Faccio un sospiro, da oggi comincia un nuovo capitolo della mia vita.
Niente più passeggiate tra le calli, niente più pub, niente più nebbia, ma soprattutto niente più Diego.
Rivolgo un’occhiata alle mie scarpe.
«Almeno voi, sarete felici della mia decisione…»
Ad interrompere i miei bizzarri pensieri è Matilde, con un sorriso da un orecchio all’altro e le braccia incrociate al petto.
«Allora… come ci sente ad essere una socia maggioritaria?» Nella sua voce percepisco l’orgoglio e l’affetto che nutre nei miei riguardi.
Le rivolgo un sorriso malinconico. Festeggerò, in un altro momento.
Non oggi, perlomeno.
«Non lo sono ancora…»
Si avvicina, cauta e si siede di fronte alla mia scrivania. «Stella… cosa è successo laggiù?»
La sua schiettezza mi rallegra per un momento, mi conosce bene e non credo mi abbia mai vista così. «Si vede così tanto?»
«Parli con le tue scarpe solo quando stai soffrendo…» Abbozza un sorriso, facendo spallucce. Nonostante il momento sia doloroso, non posso fare a meno di ridere.
«Un Cosmopolitan, ti va?» Il mio invito ha l’effetto sperato. «Credo che sia quello di cui abbiamo bisogno entrambe.»
Afferro il cappotto, prendo la pochette e mi avvio verso l’ascensore. Sto per chiudere la porta, quando il telefono dell’ufficio suona.
Tentenno per qualche istante, non sapendo se rispondere o lasciare che la segreteria telefonica si accenda.
Alla fine, dopo il quarto squillo decido di alzare il ricevitore.
«Stella Casiraghi.»
Una voce maschile mi saluta, cordiale. «Salve, sono il Direttore dell’Hotel Danieli, posso rubarle un minuto?»
Il cuore perde un battito, in attesa di saperne di più.
«Prego, mi dica…» lo esorto a proseguire, mentre il cuore sembra esplodermi dal petto.
Non so davvero cosa aspettarmi da questa telefonata.
Una parte di me spera si tratti di Diego, l’altra sa benissimo che è impossibile.
Decido di sedermi, in attesa di conoscere il reale motivo di questa chiamata.
«Ecco, dopo aver valutato il suo Curriculum Vitae e dopo averla vista all’opera, vorrei chiederle di fare un colloquio per offrirle di ricoprire la posizione di Responsabile Eventi nel nostro Hotel.»
È come una doccia fredda.
Sono senza parole.
«Signorina Casiraghi?»
Poso una mano sulla bocca. Pensandoci bene, un colloquio non sarebbe vincolante.
Potrei rivedere Diego. Un’ultima volta.
Mi concedo un lungo respiro. È la scelta più difficile della mia vita.
Ma la verità è che la mia scelta l’ho fatta quella notte. Ho deciso di andarmene, ma cosa ancora più importante, lui mi ha lasciata andare.
Niente ripensamenti, Stella. Hai fatto la cosa giusta.
Tentando di mantenere un tono di voce calmo e deciso mi rivolgo al mio interlocutore.
«Sono onorata signor Direttore, ma temo di dover rifiutare la sua offerta. La ringrazio a ogni modo per avermi contattata.»
I pochi istanti di silenzio che seguono, mi gelano il sangue nelle vene.
«Allora non ci resta che augurarle buona fortuna, signorina.»
Buona fortuna anche a te, Diego.
Diego
Cinque giorni.
I più vuoti e brutti che io abbia mai passato finora.
È la notte di capodanno e mi sono fatto convincere da Marco a venire all’Orange, ma non ne avevo molta voglia.
Non ho più messo piede qui dal giorno che lei se n’è andata e tornarci mi ha riportato alla mente quella sera in cui ci siamo conosciuti.
All’astio che ho provato mentre la guardavo entrare.
Al desiderio per lei che cresceva ogni minuto, sempre di più.
Alla notte di passione e… amore, che abbiamo passato insieme, fin dal primo istante.
In questo periodo che abbiamo trascorso lontani ho pensato a tutto quello che è accaduto e soprattutto alla velocità con cui è accaduto. Mi son detto: Diego, hai perso la testa per un bel corpo e una mente brillante, niente di più. Non è amore, non può essere amore dopo pochi giorni.
Ma il vuoto che ho dentro da quando lei è uscita da casa mia mi testimonia il contrario.
Ho avuto un colpo di fulmine, come succede in quei film mielosi che mi sono sempre rifiutato di guardare o in quei romanzi sdolcinati che non ho mai voluto leggere.
Ed è accaduto a me.
Un bello scherzo del destino.
«Ehi, via quel muso lungo, va bene?» La voce di Marco mi arriva allegra, la spallata che mi dà subito dopo mi fa quasi perdere l’equilibrio. A malapena tengo stretto in mano il mio bicchiere di birra.
Mi volto a guardarlo, accigliato.
È su di giri, ma ci sta. È la notte di capodanno e bisognerebbe festeggiare, ma io non ne ho voglia.
«Fatti gli affari tuoi, d’accordo?» Distolgo lo sguardo da lui e mi porto il boccale alle labbra, bevendo un lungo sorso di liquido fresco e amaro.
«Sei proprio messo male, vecio mio!» Scoppia in una risata, poi mi guarda negli occhi. «Ma ho io un bel modo per tirarti su il morale, credimi.»
Aggrotto le sopracciglia, non capisco a cosa si riferisca.
In quel preciso istante la ragazza rossa con cui se n’era andato quella sera gli arriva di fianco, lo abbraccia e struscia le sue tette enormi contro il suo torace. Lo guarda estasiata e poi si volta verso di me, con un sorriso complice.
Solo in quel momento mi accorgo che al suo fianco c’è una brunetta piuttosto appariscente, ben truccata e agghindata per la festa.
Il suo abito rosso le fascia il corpo formoso e la profonda scollatura offre un’ottima vista sul suo bel petto prosperoso. La gonna corta mette in mostra due magnifiche gambe dritte e snelle, esaltate ancora di più da un paio di scarpe nere con il tacco altissimo.
Bellissima, non c’è che dire.
Ma Stella avrebbe qualcosa da ridire su questo abbigliamento. E sull’abbinamento con quelle scarpe.
Scuoto la testa, devo allontanarla dai miei pensieri. A ogni costo.
E la ragazza davanti a me mi aiuterebbe a farlo, ne sono quasi sicuro.
«Lei è Camilla.» Marco fa un gesto verso la brunetta, che si avvicina a me e mi sorride accattivante.
«Ciao, molto piacere.» Mi guarda compiaciuta, squadrandomi con lentezza da capo a piedi. «Come mai te ne stai qui tutto solo in una notte di festa come questa?»
Sorrido.
Meglio non metterla al corrente del fatto che sto pensando a un’altra donna, non le piacerebbe. E dal suo sguardo so che mi basterà un cenno per finire tra le sue gambe.
«Mi stavo giusto annoiando.» Bevo l’ultimo sorso di birra e poso il bicchiere sul bancone, di fianco a me. «Ma per fortuna siete arrivati voi. Che si fa, ragazzi?»
«Oh, così mi piaci!» Marco mi mostra il pugno, che io colpisco con la mia mano. «Forza, andiamo di sopra e iniziamo questa serata, avanti!» Circonda con il braccio le spalle della rossa e si dirige verso le scale che portano al terrazzino che dà su Campo Santa Margherita.
Camilla mi sorride sensuale e mi porge la mano, che accetto di buon grado. Le sue dita esili si infilano tra le mie, mi stringe appena. «Non mi sembra di aver sentito il tuo nome…»
«Diego.» Le sorrido, anche se quel contatto con la sua pelle non mi ha dato il brivido che mi aspettavo.
«Vieni con me, ‘more.» Mi fa un cenno lieve con la testa e mi trascina dietro Marco e la sua compagna, attraverso la calca che affolla il locale.
Ci facciamo largo tra le persone, saliamo di sopra e la musica ci avvolge subito. Hanno chiuso la terrazza con un tendone riscaldato da lampade elettriche, si sta bene e l’euforia mi fa sorridere.
Camilla mi trascina con lei in pista e prima che io me ne possa rendere conto sono avvinghiato a lei. Le sue mani mi accarezzano il torace e i suoi fianchi si muovono a tempo di musica, mentre con il corpo si strofina contro il mio.
Tanta esuberanza mi lascia quasi incredulo, alzo lo sguardo verso Marco che mi guarda sorridente e mi strizza l’occhio mentre la rossa sta facendo con lui lo stesso gioco che Camilla sta facendo con me.
Un sospetto mi attraversa la mente, mi chino verso di lei per parlarle all’orecchio visto il volume alto della musica. «Come hai conosciuto Marco?» Mi allontano subito, la guardo in viso cercando di studiare la sua espressione.
Lei mi sorride tranquilla, poi si avvicina al mio orecchio per rispondermi. «Sono un’amica di Monica, la sua ragazza. Ero sola stasera e sono venuta qui con loro.» La sento stringersi a me, le sue mani mi passano dietro la schiena. «Mi avevano detto che avrei fatto conoscenza con tante persone e che Marco ha diversi amici. Ma quando sono entrata e ti ho visto appoggiato al bancone… non ho più potuto distogliere lo sguardo da te.»
Si allontana e mi guarda in viso, poi i suoi occhi scuri si posano sulle mie labbra. Passano solo alcuni istanti, poi distolgo lo sguardo da lei un po’ infastidito.
Stavo quasi per baciarla, forse per voglia di dimenticare Stella e le sue labbra, più che per desiderio di farlo davvero. E non mi piace.
Faccio per allontanarmi da lei, ma le sue braccia me lo impediscono. Abbasso lo sguardo e la sua espressione è mortificata. «Scusami, ho esagerato…vero?» Fa una piccola smorfia. «Non volevo metterti in imbarazzo, ho solo voglia di divertirmi e basta, niente di più.»
«Non preoccuparti.» Le sorrido. «Non mi hai messo in imbarazzo.»
«È solo che proprio ieri mi sono lasciata con il mio ragazzo dopo sei anni e stasera ho solo voglia di…»
«…dimenticare?» Azzardo. I suoi occhi lucidi mi colpiscono al cuore. «Ti capisco.»
All’improvviso provo simpatia per lei, mi rendo conto che la sua esuberanza era solo dettata da una voglia di mascherare una tristezza che sta provando dentro, proprio come me.
Anche se io sono l’esatto contrario.
La sento allontanarsi dal mio corpo, d’istinto le passo un braccio intorno alla vita e la stringo a me. «Non farlo.» Scuoto la testa, sorridendole. «Hai ragione, possiamo divertirci un po’… e basta.»
Il suo volto si illumina e mentre la faccio girare su se stessa ride di gusto, aggrappandosi poi alle mie braccia. La musica fa il resto, nei minuti che seguono.
Balliamo spensierati, senza pensare a nulla.
Rido per la prima volta dopo giorni, come credo anche lei.
Beviamo ancora, nelle ore che seguono. Ridiamo e balliamo.
Con lei riesco finalmente a dimenticare quasi tutto.
Fino al momento in cui senza rendermene conto le nostre labbra si toccano.
Le dischiude invitandomi a baciarla, ma nella mia mente c’è solo l’immagine di lei.
Stella.
Mi allontano mortificato, la guardo in viso e lei sbatte le palpebre più volte.
«Scusami. Non avrei dovuto.» Scuoto la testa. «L’alcool, l’atmosfera, io…»
Lei serra le labbra e stringe gli occhi. «Non scusarti. Avevamo detto che ci saremmo divertiti, no? Che problema c’è?»
«C’è che io non sono un uomo di questo tipo.» Mi allontano da lei, mentre mi guarda stizzita. «Se ti ho fatto credere il contrario non era mia intenzione.»
«Ah!» Sbotta, con un sorriso sarcastico. «Non dirmi che stai rifiutando la mia compagnia… vero?»
Spalanco gli occhi. Certo che la rifiuto, ora più che mai. «Sì. Perché dovrebbe esserci qualcosa di strano?»
Scuote la testa, con un’espressione indignata dipinta sul viso. «Ma vaffanculo, va.» Mi volta le spalle e se ne va ancheggiando.
La guardo allibito, non posso credere a quello che è appena accaduto. Tante belle parole sul fatto di divertirsi e poi alla fine mirava a questo fin dall’inizio. Solo ora me ne rendo conto.
Scuoto la testa e scendo di sotto, dirigendomi subito al bancone per bere. Lascio lì a ballare Marco, la sua ragazza e la sua amica del cuore Camilla, lieto di averla lasciata perdere. Giunto di sotto mi faccio largo tra le persone, che sono ancora più ammassate di prima, se mai fosse stato possibile.
Guardo l’orologio, mancano davvero pochi minuti a mezzanotte.
Che serata di merda. Bravo Diego, ottima fine d’anno.
Spero solo che non sia il preludio di un inizio altrettanto pessimo.
Mi appoggio al bancone in legno e con un gesto attiro l’attenzione del barista, indaffarato a preparare le bottiglie di prosecco da stappare tra poco. Si volta verso di me, facendomi segno di aspettare un attimo.
Attendo, guardandomi intorno.
Ci sono tante coppie, tanti gruppi di amici che si stanno preparando a brindare. Alcuni hanno già le bottiglie in mano, altri le stanno prendendo. Alcune coppie si stanno già baciando.
E io?
Ma soprattutto… e lei?
Chissà cosa starà facendo in questo momento nella sua adorata Milano. La immagino in un locale alla moda, con un vestito fantastico e due scarpe magnifiche. Sorridente, felice. Con i suoi amici altolocati e il suo bel lavoro da wedding planner. Lei che odia il bianco, indaffarata a vestire spose.
Fanculo.
«Cosa ti do, Diego?» la voce del barista mi allontana da Milano e mi riporta all’Orange. Sollevo lo sguardo, serio.
«Una birra, grazie.»
Mi fa un cenno d’assenso, poi prende un boccale di vetro e si avvicina alla spina. Osservo la schiuma bianca e il liquido chiaro scendere, lo seguo con lo sguardo finché arriva davanti a me sul bancone. Infilo le mani in tasca e sfilo il portafogli, ma una mano femminile si posa sulla mia, bloccandomi subito.
«Lascia, offro io.» La voce che mi arriva all’orecchio mi fa fermare il cuore e il respiro.
Un brivido mi accarezza la spina dorsale e scende inesorabile, fino a lì.
So chi è.
Perché solo lei mi fa quest’effetto.
Mi volto e i suoi occhi azzurri mi osservano, ironici. I capelli biondi morbidi le scendono sulle spalle, circondandole il viso. Il cappotto rosso che indossa le fascia il corpo stupendo.
Le sue labbra si piegano in un sorriso. «Non dirmi che sei uno di quei tipi che non accettano di farsi offrire da bere da una donna… Mi deluderesti, Diego Furlan.»
Sorrido. «Certo che puoi offrirmi da bere, Stella Casiraghi.» Metto via il portafoglio, cercando di mantenere la calma. Se solo potessi la coricherei sul bancone, ma non è proprio il caso. «Che ci fai, qui?»
«Mi hanno fatto un’offerta che non potevo rifiutare. Anzi… in realtà a dire il vero all’inizio l’ho fatto. Ma poi ci ho riflettuto meglio e ho cambiato idea.» Si volta verso il barista, con un sorriso. «Puoi farmi un Cosmopolitan, per favore?» Inizia a slacciarsi il cappotto e se lo sfila, appoggiandolo su uno sgabello a fianco.
Vorrei saperne di più, ma non posso fare a meno di osservare famelico il vestito bianco che le fascia il corpo, lo stesso che indossava quel giorno.
Il giorno del matrimonio di mia sorella, l’ultimo giorno che è stata mia.
Le scarpe chiare le accarezzano i piedi affusolati e quelle gambe… cazzo, le vorrei subito intorno ai miei fianchi.
Mi schiarisco la voce, cercando di allontanare quell’idea che sta già provocando un effetto devastante sul mio inguine. «Ti ho già detto che ti dona il bianco, vero?» Le sorrido, voltandomi verso di lei e appoggiando il gomito sul bancone.
«Sì, ho un vago ricordo della cosa…» Sorride, mentre prende il bicchiere e sorseggia il suo cocktail preferito. «Mi ero ripromessa di non indossarlo più, ma avevo detto che avrei anche potuto fare un’eccezione.»
Annuisco, ricordando alla perfezione anch’io quel momento.
La stavo spogliando ed eravamo a casa mia. Le avevo chiesto di fare un’eccezione per ME.
La divoro con lo sguardo, mentre tutto intorno a noi inizia il conto alla rovescia.
DIECI…
I suoi occhi mi studiano, indagatori. So che si aspetta una reazione da parte mia sul fatto che lei sia qui davanti a me, ma sono stato talmente uno straccio in questi giorni che la soddisfazione non gliela darò mai.
NOVE…
O forse, potrei chiederle qualcosa, in effetti. In realtà muoio dalla curiosità.
OTTO…
Sorride, la stronza. Posa la bocca sul bicchiere e beve un sorso, poi si passa la lingua sulle labbra.
SETTE…
No, non voglio chiederle nulla. Devo resistere.
SEI…
Mi passo una mano tra le cosce, per sistemare l’erezione che ormai mi sta esplodendo nei jeans. I suoi occhi accompagnano il mio gesto, poi tornano nei miei. Una scintilla di desiderio li attraversa.
CINQUE…
Mi avvicino, solo di un passo. Diego, attento… non di più. Poi sentirai il suo profumo, sarà la fine.
QUATTRO…
Merda. Troppo tardi. Un altro passo.
TRE…
La prendo per la vita. La avvicino a me e la guardo negli occhi. Sembra felice.
DUE…
Posiamo i bicchieri sul bancone, entrambi. Le passo una mano dietro la nuca, con lo sguardo le accarezzo le labbra morbide.
UNO…
Non resisto. Una cosa la devo sapere. «Sei felice di aver fatto questa scelta, almeno?» La guardo, con attenzione.
«Sì, lo sono.»
ZERO!
Mentre tutto esplode intorno a noi le sussurro solo una cosa prima di baciarla. «Allora che sia un buon inizio, amore mio.»
Fine
Copyright Renée – Samy P. ©
Questo racconto è di proprietà di Renée di Samy P., è protetto da copyright e ogni riproduzione dell’opera, parziale o integrale, è vietata. È vietata la redistribuzione e la pubblicazione dei contenuti, in qualsiasi forma, non autorizzata espressamente dall’autrice. Tutti i diritti sono riservati ©. L. 633/1941. Questo racconto è un’opera di fantasia di Renée e di Samy P. Ogni riferimento a persone reali esistenti o esistite, fatti, luoghi o avvenimenti è del tutto casuale ed è frutto dell’immaginazione dell’autrice che ne ha fatto uso al solo scopo di dare maggiore veridicità alla storia.